Resoconto film visti a Febbraio duemiladiciassette (parte 1)

Questo mese ci ho dato sotto. Per questo motivo, dividerò il post in più parti. Tanti film del passato, oltre ad un timido tentativo di recupero dei film del 2016. Solo 2 i film visti al cinema: Manchester by the sea e La La Land.

 

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La vita di Oharu, donna galante (1952)

Filmone di Mizoguchi, regista che, assieme a Ozu e Kurosawa, componeva il tridente del cinema giapponese. Facendo una metafora calcistica, nella trittica offensiva del Barça, Mizoguchi sarebbe Neymar, finalizzatore di classe con giocate brasileire. Fosse uno starter dei Pokémon di prima generazione, direi Bulbasaur. Della seconda, Chicorita. E via dicendo.

Riguardo il film, Oharu è la Cenerentola del periodo Edo. Da donna di corte, viene esiliata da Kyoto per aver una relazione con un paggio (un giovane Toshiro Mifune, mica pizza e fichi). Lui, verrà decapitato per tale oltraggio. Da qui, alla donna ne accadranno tante: diverrà concubina del re, prostituta, donna di servizio, si sposerà e diverrà vedova ed addirittura aspirante monaca. Non in quest’ordine.

Essenzialità alla cinepresa, asettica espressività. Tra i 3, Mizoguchi trova più affinità con Suarez  (Kurosawa, attaccante di sfondamento).

P.S. Ma allora Ozu è addirittura il Messi del cinema giapponese? Devo pensarci.

Voto: 8/10

 

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Manchester by the Sea (2016)

Forse meriterebbe una recensione a parte ma preferisco impiegare le mie energie cerebrali per parlarvi di TUTTI i film visti a Febbraio. Anche se, Manchester by the sea è più un film da discussione forbita post-visione, tra quei guru del cinema cinquantenni, con la giacca con le toppe sul gomito che odora di moquette, col giornale sottobraccio. Quelli che tossiscono in sala durante il film un paio di volte. Dunque, diciamo che si presterebbe ad una rece che non leggerebbe nessuno.

Il film intanto s’è accaparrano due Oscar – uno per miglior sceneggiatura originale, l’altro andato a Casey Affleck come miglior attore protagonista – e ho voluto appurare se effettivamente fossero meritati. Partendo dal presupposto che per me è stato un anno sottotono per il cinema, direi che ci potrebbero anche stare le assegnazioni. Casey è bravo nella sua inespressività da tronco di betulla. Trovo che dopotutto non sia facile essere espressivamente inespressivi, tra apatia, inadeguatezza, depressione mai apertamente manifestata ma percepita dallo spettatore. Il film è un dramma, di quelli veri, che fa capire il motivo per cui il protagonista abbia smesso di reagire, di vivere. Forse un po’ confusionario nel mostrare vita passata e presente.

Bisogna essere nel mood adatto per vederlo, sennò rischiate di abbioccarvi.

Voto: 6/10

Se vi trastullate col montaggio analogico: 7/10

 

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The Handmaiden  (2016)

Park-Chan Wook chiude la trilogia  dell’erotismo con il suo film più ambizioso.  Dopo Blue is the warmest color e quella zozzeria di Nymphomaniac, si è abbattuto ogni tabù sul sesso mostrato al pubblico. Alla Lars Von Trier insomma. Raffinato, libidinoso ed estremamente sensuale. Ma il regista coreano mostra di avere esperienza e sensibilità alla cinepresa per rappresentare esperienze saffiche senza volgarità, senza generar disagio allo spettatore. Il sesso diviene (È) arte. Fuga d’amore sofferta e sentita, affascinante e da inaspettati risvolti narrativi, con costanti cambi di copione, azzeccatissimi.

Attualmente miglior film del 2016 che io abbia visto finora (anche se devo recuperarne altri) nonché – allargamose, va’ – una delle pellicole più complete degli ultimi anni.

Voto: 8/10

 

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Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza (2014)

Seguii il trionfo di Roy Andersson, regista svedese dalla lunga carriera, a cui vennero riconosciuti i meriti e il contributo nel mondo del cinema soltanto a 70 anni suonati con il Leone d’Oro a Venezia. Per quanto io, lo ammetto, non conoscessi la persona, questa premiazione mi coinvolse ma non ebbi purtroppo occasione di vedere il suo film.

Rimedio soltanto ora, vedendo un film senz’altro curioso e particolare. Fotografia asettica, perfetta nella sua essenzialità che conferma la presenza di un occhio esperto dietro la macchina da presa. Situazioni paradossali, talvolta surreali, di un mondo in scatola. Una serie di episodi apparentemente disconnessioni tra di loro ma collegati dai personaggi, gli eventi e una chiamata che accomuna i suoi protagonisti ed evidenzia il principio di incomunicabilità.

Andersson ha un umorismo estremamente sottile, difficile da cogliere perché composto da freddure, da poche battute, di situazioni talvolta indecifrabili. In alcuni casi si ha la sensazione di non comprendere ciò che si vede, di non riuscire ad afferrare quella grande sapienza cinematografica offertaci dall’erudito ma umilissimo regista scandinavo, attraverso il suo personale linguaggio.

Voto: Un ingiusto 6 ma direi 7 / 10

 

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Ladri di Biciclette (1948)

Disarmante appurare come i problemi che affliggevano il nostro paese quasi 70 anni fa siano presenti tutt’oggi, seppur in un altro contesto storico. Forse, ancor più grave, è riconoscere che la questione relativa al lavoro sia ancora irrisolta, la povertà aumenti pur trovandoci in un’epoca di relativa benestanza.

Il messaggio di Vittorio De Sica, nell’immortalare una Roma di borgata, in fase di ripresa e riassestamento nel dopoguerra, giunge schietto e diretto allo spettatore anche grazie ad una interpretazione sincera, un linguaggio dialettico e attori presi dalla strada che costruiscono un contesto privo del misticismo cinematografico.

Ladri di Biciclette non è un film neorealista. È il neorealismo. Quello del popolo, della gente, di tutti.

E il finale poi… che ve lo dico a fa’.

(Ma tanto lo sapete già)

Voto: obbligatoriamente 10/10

 

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Un condannato a morte è fuggito (1956)

I presupposti sono gli stessi che anticiparono la visione de L’avventura di Antonioni: un film su cui il circolino del cinematografò ci si sbrodola ma che, a noi comuni mortali, ammettiamolo, ha generato narcolessia seguita dalla reazione fantozziana dopo La Corazzata Potemkin. Quel film che dunque, per essere veramente apprezzato, richiede preparazione e studio, oltre che passione.

Non è da meno Un condannato a morte è fuggito. Dovunque cerchiate, leggerete di critici entusiasti ed inebriati dalla visione, considerandolo di trascendentale importanza per la storia del cinema.

Non ne dubitiamo. Peccato che, per quanto io abbia letto numerose critiche del film ed ho compreso la sua influenza, sia riuscito a contestualizzarlo, per me rimane un film noioso.

Non me ne voglia nessuno.

Tu, studente fuori corso del Dams fintoborghese coi rasta che vuoi sindacare a ciò che ho detto, statte bono.

Voto: 6 ore dormite su 2 di durata del film.

Scherzone, 6/10 perché dopotutto il cinema mi piace e non posso troncare o come film.

La prima parte del riepilogone si chiude qui. Accendete il bollitore per il thè perché presto potrete leggere la seconda carrellata di film.

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