Ora che non sono più innamorato.

Fine di una storia d’amore.

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L’articolo non contiene alcuno spoiler su Kingdom Hearts III e i capitoli relativi alla serie.

 

Ricordo di quando dovetti scegliere tra PS4 e Xbox One.

Anche se ora sembra una scelta scontata, nel 2013 poteva rivelarsi più ardua del previsto, considerando che entrambe mostrarono le loro potenzialità nella generazione precedente, risultando accattivanti nel nuovo rilascio sul mercato.

Optai per PS4. “Kindom Hearts III” bastò come motivo.

Volevo essere sicuro di acquistare la console giusta per quel che fu il mio nuovo amore.

 

Infatuazione.

Kingdom Hearts mi rapì e ci riuscì pur avendo sviluppato una maturità relativa alle mie altre esperienze videoludiche.

Se con molti giocatori riuscì a far breccia nel cuore in una età spensierata come l’adolescenza, con me l’infatuazione avvenne in una fase più avanzata in cui ormai credevo che non fosse possibile. Sorprendendomi.

Kingdom Hearts mi ammaliò proprio con la sua semplicità e spensieratezza. Esplorando i mondi Disney assieme a Sora, Pippo e Paperino, si torna bimbi. E non importa quanti anni abbiate.

Un’esperienza esaustiva e complementare per qualsiasi appassionato.

Finché…

Smarrimento.

Le prime fratture si crearono dopo avermi incantato con la prima avventura in Kingdom Hearts.

L’assuefazione da quella magia, dal più ingenuo infantilismo sfociano in un bivio in cui è difficile scegliere la giusta direzione.

Kingdom Hearts inizia a dislocarsi in ramificazioni narrative in cui bisogna coglierne un frammento in ogni titolo collegato alla serie.

Nulla va dato per scontato. Il primo ostacolo è Chain of Memories, originariamente rilasciato su Game Boy Advance.

Ricordo ancora il trambusto che ne conseguì quando Square Enix decise di rilasciare un nuovo capitolo di KH sulla console portatile di Nintendo.

Fu una mossa sconsiderata che portò molti fan ad accorrere per l’acquisto di un Advance con relativa cartuccia di Chain of Memories.

Fortunatamente, il mio recupero della serie è postumo a quella traslazione da PS2 a GBA. Ciò non toglie che, pur avendolo a disposizione nella Collection per PS3, io abbia deliberatamente deciso di proseguire verso il secondo capitolo.

Quanto è costata questa mia leggerezza?

Perdere l’amore.

Si inizia con Roxas. Dov’è Sora? E Pippo? Paperino?

Il disorientamento iniziale è incoscientemente dovuto alla mancata esperienza con Chain of Memories.

Decido comunque di proseguire, affidandomi all’esperienza con il titolo che saprà darmi spiegazioni durante l’avventura.

Invece accrescono dubbi. C’è lo smarrimento. Nasce la frustrazione.

Kingdom Hearts II fallì con me. O forse fui io a fallire con lui.

Quello che considerai un titolo facoltativo era in realtà un punto di congiunzione tra il primo e il secondo capitolo.

Mea culpa.

Decido di recuperare Chain of Memories dopo l’esperienza disastrosa con KHII pur di non recidere i legami che mi tenevano flebilmente unito a Kingdom Hearts. Volevo rimanere aggrappato a quel mondo.

Chain of Memories fu sconfortante. Ero entusiasta di tornare a visitare i mondi del primo capitolo se non fosse che mi parve un dejavu claudicato da un sistema di combattimento tedioso.

Per quanto tentai di arginare questo ostacolo relativo al gioco di carte che caratterizzava i combattimenti, fu inutile.

Ad oggi, Chain of Memories è incompleto, abbandonato. Mi arresi.

Kingdom Hearts mi chiese troppo e forse fui io debole nel non riuscire a seguire questo amore, ad esaudire le sue richieste.

La dislocazione della serie, sconsideratamente avvenuta su ogni console del settore per ingarbigliare ulteriormente una storia già labirintica per natura, è una gogna che i fan di Kingdom Hearts hanno deciso di portare perché persi in un amore che li ha resi ciechi – e che non so quanto abbia ripagato la loro fedeltà.

È complicato barcamenarsi nell’impresa anche se Kingdom Hearts è stato racchiuso in raccolte che includono ogni capitolo della serie.

Dire basta è difficile perché si ha la sensazione di perdersi un grande amore che difficilmente potrà essere trovato altrove.

Si è ancora incantati da ciò che fu (e si idealizza) di Kingdom Hearts. Si riscopre la magia, si cerca compulsivamente ogni frammento celato qua e là nelle sue innumerevoli trasposizioni pur di comprendere la sua cosmogonia.

Il distacco dal secondo capitolo al nuovo Kingdom Hearts III è comparabile a delle fatiche di Ercole in ambito videoludico-affettivo.

L’addio.

Non acquisterò Kingdom Hearts III.

Anche se posso risultare melodrammatico, è un investimento emotivo che ora (e forse mai) potrò permettermi.

Non basta neanche la lunga, agognata attesa che ha preceduto il suo rilascio.

Inutile dire che intraprendere questa avventura abbia un costo e delle responsabilità che comportano un recupero delle precedenti avventure della saga, a mio parere insostenibili.

Videoludicamente sono antivideoludiche. Come è antivideoludico doversi sorbire dei video esplicativi che riassumano e spieghino la storia finora pur di non farsi trovare impreparati di fronte gli innumerevoli riferimenti che saranno presenti nel terzo capitolo.

È una Sindrome di Stoccolma che porta ad esasperarsi per la ricerca dei pezzi di un mosaico inutilmente intricato, attraverso esperienze di gioco legnose, come se dovessimo lesinare quei frammenti narrativi che mancano e che desideriamo vedere.

Square Enix poteva rendere più fruibile e meno stressante l’accesso e conseguente sviluppo della serie, ma il quadro complessivo è catastrofico.

Parlando da amante ferito e deluso, di chi forse interpreta il ruolo della volpe che dice che l’uva è acerba, è bene mantenere il ricordo di ciò che fu bello finché durò, di quei pomeriggi spensierati passati a tornare bambini, a riscoprirsi tali, a mantenere intatta quella parte di sé sognatrice.

Kingdom Hearts è la più bella e romantica storia che mai verrà narrata ed udita.

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