Ha senso parlare ancora di Killer Application?

bloodborne-overview-regain-system-screen-01-ps4-us-25feb15.jpeg

Killer application indica un titolo che sia rappresentativo ed esclusivo per la console a cui appartiene, tanto da portare l’utenza ad acquistare il suddetto sistema anche solo per quel gioco.

Il termine è ormai decaduto, considerando la dilagante presenza di multipiattaforma.

Eppure, le esclusive esistono ancora.

Cos’è cambiato rispetto al passato?

Inizialmente, ciò che le console tentavano di emulare era l’esperienza del cabinato. Tale trasposizione appariva più complessa di quel che potrebbe sembrare oggi, tenendo da conto la quantità di contenuti che riuscivano ad essere incorporati nella versione arcade.

Non sempre infatti queste conversioni avvenivano fedelmente, ma poteva essere comunque motivo di vanto riuscire a supportare un sistema complesso su una console casalinga, comprimendo in una cartuccia le emozioni della sala giochi, da vivere comodamente in salotto.

In questo caso, le killer app venivano rappresentate da traslazioni dei titoli arcade più gettonati. Ma esistevano anche titoli esclusivamente legati ad una console.

 

si_3dsvc_supermariobros_image1600w

Potremmo definire Super Mario Bros. come la prima killer application.

Dato il sistema di gioco innovativo ed immediato che proponeva, la sua esclusività per NES veniva notevolmente rafforzata.

Il dilagante successo di Super Mario portò Nintendo ad affidarsi alla sua nuova mascotte, per quel che tutt’oggi rappresenta uno dei personaggi videoludici più prolifici, esclusivamente legato alla società di Kyoto.

L’antagonismo nacque con l’avvento di Sonic in cui SEGA generò una spietata guerra contro Nintendo per il dominio del mercato.

Attraverso slogan accattivanti e decisamente eloquenti, la società rappresentata dal porcospino blu sottolineava ogni suo successo in ambito videoludico, soprattutto per quel che concerne il progresso tecnologico.

 

4dee45bbccd1d5bc4d020000-750

 

SEGA bombardò a tappeto le riviste del settore con advert sprezzanti e provocatori. Ma era anche una guerra di esclusive laddove l’ago della bilancia pendeva in base ai prodotti più ambiti e bramati che venivano supportati dalle console delle rispettive case di produzione.

La valutazione sull’acquisto di una console – dal costo importante – veniva proprio effettuato in base a ciò che la line-up offriva.

Sonic correva a velocità impressionante esclusivamente su console SEGA. Oltre il porcospino blu, la società di Tokyo offriva al pubblico altri titoli ricordati con piacere dalla sua utenza, quali Street of Rage, Golden Axe, Phantasy Star, Space Harrier etc.

Nintendo, dal canto suo, proponeva delle esclusive ritenute delle killer app, sopravvissute ad ogni generazione successiva: The Legend of Zelda, Metroid, Kirby, Yoshi etc.

Lungi da me dal prendere posizione su questo storico confronto, è però interessante considerare come all’epoca ogni titolo potesse avere un peso che influiva notevolmente sulla bilancia.

Rapportato ad oggi, ogni confronto appare sterile e privo di contenuti.

Forse non ci accorgiamo che siamo in un’epoca videoludica in cui l’acquisto di una console a discapito di un’altra può risultare pressoché ininfluente per la scelta dei titoli.

Le line-up delle console presenti attualmente sul mercato sono sostanzialmente identiche.

Ora l’acquisto di una console è principalmente dettato da altri fattori che possono scindere dal concetto di esclusive, riducendosi spesso a semplici preferenze. Prima invece, andava scrupolosamente analizzato ogni fattore per non precludersi dei giochi a cui si era interessati.

Nell’attuale generazione, l’ultima killer app per cui è dipeso l’acquisto di una console a discapito di un’altra è stata Bloodborne.

In una fase di costruzione in cui Microsoft e Sony stavano iniziando ad inserire i propri tasselli per comporre un mosaico che mostrasse le potenzialità della propria console all’utenza, Sony fece leva sul successo della serie Souls aggiudicandosi un’esclusiva di From Software che fosse addirittura uno stand-alone, pur discostandosi per lo stile dai precedenti sviluppi mantenendo ugualmente la formula di gioco plasmata con l’esperienza maturata.

Ciò bastò per far vertere l’attenzione del pubblico verso Playstation.

Microsoft stava rilasciando – ed aveva in programma – più esclusive di Sony, ma qui veniamo alla definizione di killer application.

Facendo un confronto che potreste ritenere improprio, Sunset Overdrive è un’esclusiva Microsoft; Bloodbourne è una killer app Sony.

Ora viene dato per scontato – se non addirittura dovuto – che Sony rilasci con frequenza produzioni importanti che siano esclusive. Eppure in un confronto generazionale diventato univoco neanche sarebbe necessario ingraziarsi l’utenza con rilasci così imponenti.

Già nella generazione precedente, in cui iniziò la promiscuità con il passaggio sulle console Microsoft di quelle che furono esclusive Sony – vedi Final Fantasy e Devil May Cry -, il concetto di killer app iniziò a divenire evanescente.

Le esclusive però sussistevano e caratterizzavano le rispettive piattaforme. Sopratutto la società americana cercava di rimpinguare la line-up di Xbox 360 con progetti che rimanessero rilegati alla sua console.

Purtroppo molte furono esclusive. Temporanee.

Anni dopo passarono – in sordina – anche su PS3. L’obiettivo di Microsoft era tentare di conquistare l’utenza giapponese, da sempre restia a prestare attenzione a Xbox seppur ci fossero state titoli appetibili come Ninja Gaiden e Dead or Alive.

lost-odyssey

Nel 2006, Microsoft decise di lanciare Lost Odyssey, il primo (e unico?) titolo per 360 ad entrare nella top settimanale di vendite in Giappone. Traguardo più complesso di ciò che possa sembrare, considerando la tendenza del pubblico nipponico.

Fu uno dei tanti progetti finanziati a peso d’oro da Microsoft. Seguirono una sfilza di jrpg sviluppati dalle major giapponesi: Blue Dragon, Infinite Undiscovery, The Last Remnant etc.

Poi ci fu il sodalizio tra Microsoft e Capcom che portò – oltre alle trasposizioni di Resident Evil, Street Fighter ed altri importati brand – alla produzione di esclusive quali Dead Rising e Lost Planet, scomodando una mente creativa del mondo videoludico quali Keiji Inafune.

Bastò a Microsoft per innalzare le vendite in Giappone? Niente affatto.

360 fu un flop commerciale in Oriente con timidi incrementi di vendite giunti in concomitanza con i rilasci dei titoli più accattivanti per il suo esigente pubblico. Ad oggi rimane una line-up deliziata da perle nipponiche apprezzate più dai giappofili occidentali piuttosto che dal pubblico giapponese.

Microsoft credeva di aver prodotto delle killer app? È probabile, giudicando dai costi e i team di sviluppo implicati nei progetti, in quel che sembra uno scellerato e disperato tentativo di conquistare una fetta di pubblico certamente influente.

Piuttosto andò decisamente meglio con l’avvento di Gears of War per quel che fu il gioco che spostò gli equilibri.

maxresdefault

GoW era la killer app per eccellenza dato che incarnava la potenza grezza della nuova generazione, messa al servizio di un blood feast scatenato dal testosterone.

A parer mio, neanche Halo ebbe questa risonanza seppur Microsoft fu abile nell’alimentare l’hype dopo il roboante annuncio all’E3 2006.

Con Gears of War, Microsoft confermò il suo status quo, approfittando della iniziale defiance derivata del lancio tardivo di PS3 sul mercato occidentale. Sony arrancava e le esclusive erano ancora flebili nella prima parte del suo ciclo vitale.

Produzioni come Heavenly Sword non bastarono. Dovette giungere Metal Gear Solid 4, epilogo della serie di Kojima, a richiamare l’attenzione verso una console che aveva già i riflettori puntati su di sé ma che necessitava di giustificare il costo di 599€, a fronte dei prezzi competitivi della “Wii60 family”, ovvero: l’acquisto di 360 e Wii equivaleva a quella di una Playstation 3.

L’unica, vera killer app di Sony della generazione precedente rimane The Last of Us, giunta soltanto nel 2013 quando PS4 era già stata annunciata.

Eppure, senza quelle che possono essere ritenute delle killer app granitiche – o comunque, senza la frequenza nei rilasci a cui siamo stati abituati oggi – Playstation 3 chiuse con un bilancio record, producendo oltre 80 milioni di unità.

Quale fu la killer app più influente della storia videoludica?

Il 1997 è identificabile come l’anno zero dell’epoca videoludica moderna dato il rilascio di Final Fantasy VII. La storia narra che il progetto di Squaresoft (attuale Square Enix) non sarebbe potuto essere integrato in una cartuccia (del Nintendo 64), considerata la capienza del progetto. Perciò Square decise di migrare su Playstation che accolse uno dei titoli più importanti di sempre in 3 (!!) CD.

2831355-finalfantasy73cd

Si chiuse qui la partnership tra Nintendo e Square dopo 6 capitoli sviluppati in esclusiva su NES e SNES.

Nintendo ebbe comunque delle esclusive importanti. Basti pensare a Super Mario 64 ed Ocarina of Time, per citarne giusto un paio.

Non sappiamo come sarebbe cambiata la storia se Final Fantasy VII fosse stato rilasciato su Nintendo 64. Di certo, l’esclusività del titolo Square ha inciso notevolmente sul successo di Playstation, prima che giungessero altre killer app come Crash e Spyro. Solo ora FFVII arriverà su una console Nintendo.

1440149231_final-fantasy-vii

Ed ora?

Dopo questo viaggio a ritroso del tempo, ha senso oggi parlare di killer application? Non più. Il significato ormai si è gradualmente dissolto.

Se prima le console si affannavano nel tentare di coprire il divario con il PC, ora questo distacco non è più percepibile, indipendentemente dalle prestazioni che possono essere raggiunte da un computer.

Trovo che fossero due mondi diametricalmente opposti già da prima. Erano comunque presenti molti titoli condivisi ed ogni piattaforma di gioco aveva le sue esclusive, invidiate ma compensate da altri nomi che non facevano pentire dell’assenza di un PC o di una console casalinga.

Anche Half Life 2 arrivò su Xbox attraverso una miracolosa conversione laddove si credeva fosse impossibile. Così come, seppur con un po’ di attesa, giunsero nello stesso periodo GTA, Devil May Cry 3, Resident Evil 4 ed altri titoli ambiti dai possessori di un PC.

Ora che le barriere sono abbattute e che le release sono costanti, per tutte le tasche e rese accessibili, le killer app risiedono in quei titoli che ci portano ad un acquisto di una piattaforma, senza considerare l’esclusività.

 

 

 

Ora che non sono più innamorato.

Fine di una storia d’amore.

kingdom-hearts-2-1134367-1280x0-999x585

L’articolo non contiene alcuno spoiler su Kingdom Hearts III e i capitoli relativi alla serie.

 

Ricordo di quando dovetti scegliere tra PS4 e Xbox One.

Anche se ora sembra una scelta scontata, nel 2013 poteva rivelarsi più ardua del previsto, considerando che entrambe mostrarono le loro potenzialità nella generazione precedente, risultando accattivanti nel nuovo rilascio sul mercato.

Optai per PS4. “Kindom Hearts III” bastò come motivo.

Volevo essere sicuro di acquistare la console giusta per quel che fu il mio nuovo amore.

 

Infatuazione.

Kingdom Hearts mi rapì e ci riuscì pur avendo sviluppato una maturità relativa alle mie altre esperienze videoludiche.

Se con molti giocatori riuscì a far breccia nel cuore in una età spensierata come l’adolescenza, con me l’infatuazione avvenne in una fase più avanzata in cui ormai credevo che non fosse possibile. Sorprendendomi.

Kingdom Hearts mi ammaliò proprio con la sua semplicità e spensieratezza. Esplorando i mondi Disney assieme a Sora, Pippo e Paperino, si torna bimbi. E non importa quanti anni abbiate.

Un’esperienza esaustiva e complementare per qualsiasi appassionato.

Finché…

Smarrimento.

Le prime fratture si crearono dopo avermi incantato con la prima avventura in Kingdom Hearts.

L’assuefazione da quella magia, dal più ingenuo infantilismo sfociano in un bivio in cui è difficile scegliere la giusta direzione.

Kingdom Hearts inizia a dislocarsi in ramificazioni narrative in cui bisogna coglierne un frammento in ogni titolo collegato alla serie.

Nulla va dato per scontato. Il primo ostacolo è Chain of Memories, originariamente rilasciato su Game Boy Advance.

Ricordo ancora il trambusto che ne conseguì quando Square Enix decise di rilasciare un nuovo capitolo di KH sulla console portatile di Nintendo.

Fu una mossa sconsiderata che portò molti fan ad accorrere per l’acquisto di un Advance con relativa cartuccia di Chain of Memories.

Fortunatamente, il mio recupero della serie è postumo a quella traslazione da PS2 a GBA. Ciò non toglie che, pur avendolo a disposizione nella Collection per PS3, io abbia deliberatamente deciso di proseguire verso il secondo capitolo.

Quanto è costata questa mia leggerezza?

Perdere l’amore.

Si inizia con Roxas. Dov’è Sora? E Pippo? Paperino?

Il disorientamento iniziale è incoscientemente dovuto alla mancata esperienza con Chain of Memories.

Decido comunque di proseguire, affidandomi all’esperienza con il titolo che saprà darmi spiegazioni durante l’avventura.

Invece accrescono dubbi. C’è lo smarrimento. Nasce la frustrazione.

Kingdom Hearts II fallì con me. O forse fui io a fallire con lui.

Quello che considerai un titolo facoltativo era in realtà un punto di congiunzione tra il primo e il secondo capitolo.

Mea culpa.

Decido di recuperare Chain of Memories dopo l’esperienza disastrosa con KHII pur di non recidere i legami che mi tenevano flebilmente unito a Kingdom Hearts. Volevo rimanere aggrappato a quel mondo.

Chain of Memories fu sconfortante. Ero entusiasta di tornare a visitare i mondi del primo capitolo se non fosse che mi parve un dejavu claudicato da un sistema di combattimento tedioso.

Per quanto tentai di arginare questo ostacolo relativo al gioco di carte che caratterizzava i combattimenti, fu inutile.

Ad oggi, Chain of Memories è incompleto, abbandonato. Mi arresi.

Kingdom Hearts mi chiese troppo e forse fui io debole nel non riuscire a seguire questo amore, ad esaudire le sue richieste.

La dislocazione della serie, sconsideratamente avvenuta su ogni console del settore per ingarbigliare ulteriormente una storia già labirintica per natura, è una gogna che i fan di Kingdom Hearts hanno deciso di portare perché persi in un amore che li ha resi ciechi – e che non so quanto abbia ripagato la loro fedeltà.

È complicato barcamenarsi nell’impresa anche se Kingdom Hearts è stato racchiuso in raccolte che includono ogni capitolo della serie.

Dire basta è difficile perché si ha la sensazione di perdersi un grande amore che difficilmente potrà essere trovato altrove.

Si è ancora incantati da ciò che fu (e si idealizza) di Kingdom Hearts. Si riscopre la magia, si cerca compulsivamente ogni frammento celato qua e là nelle sue innumerevoli trasposizioni pur di comprendere la sua cosmogonia.

Il distacco dal secondo capitolo al nuovo Kingdom Hearts III è comparabile a delle fatiche di Ercole in ambito videoludico-affettivo.

L’addio.

Non acquisterò Kingdom Hearts III.

Anche se posso risultare melodrammatico, è un investimento emotivo che ora (e forse mai) potrò permettermi.

Non basta neanche la lunga, agognata attesa che ha preceduto il suo rilascio.

Inutile dire che intraprendere questa avventura abbia un costo e delle responsabilità che comportano un recupero delle precedenti avventure della saga, a mio parere insostenibili.

Videoludicamente sono antivideoludiche. Come è antivideoludico doversi sorbire dei video esplicativi che riassumano e spieghino la storia finora pur di non farsi trovare impreparati di fronte gli innumerevoli riferimenti che saranno presenti nel terzo capitolo.

È una Sindrome di Stoccolma che porta ad esasperarsi per la ricerca dei pezzi di un mosaico inutilmente intricato, attraverso esperienze di gioco legnose, come se dovessimo lesinare quei frammenti narrativi che mancano e che desideriamo vedere.

Square Enix poteva rendere più fruibile e meno stressante l’accesso e conseguente sviluppo della serie, ma il quadro complessivo è catastrofico.

Parlando da amante ferito e deluso, di chi forse interpreta il ruolo della volpe che dice che l’uva è acerba, è bene mantenere il ricordo di ciò che fu bello finché durò, di quei pomeriggi spensierati passati a tornare bambini, a riscoprirsi tali, a mantenere intatta quella parte di sé sognatrice.

Kingdom Hearts è la più bella e romantica storia che mai verrà narrata ed udita.

t256zom9hhphefdnct1e